Vincenzo Mollica ricorda Renato Carosone Ho avuto la fortuna di conoscere Renato Carosone. È stato come incontrare una fonte d’acqua pura. L’occasione: un libro che gli dedicai nel 1981, quando di lui si parlava molto poco. Mi chiese: ”Perché lo vuoi fare?”. Gli risposi che per me lui era storia, un vero innovatore musicale. Si fece una risata e con il suo sorriso che sapeva aprire il cuore, come la sua musica, mi disse: ”Facciamolo”. Cominciò così una bella avventura. Mi fece parlare con Gegé Di Giacomo, il suo mitico batterista, inventore di quel Canta Napoli che ha fatto epoca. Mi raccontò di Nisa con cui scriveva le canzoni e inventava quei personaggi che sarebbero diventati indimenticabili. Mi raccontò di quando ritornò dalla guerra d’Africa: ”Mi colpì il fatto che la canzone napoletana non avesse subito evoluzioni”. Quindi nel mio cervello nacque l’idea di poter accoppiare la musica napoletana con il ritmo americano. Fu un successo enorme, si rivoltò Napoli”. Mi raccontò di quando al culmine del successo, anno 1959, decise di ritirarsi: ”Ma non per questo metterò un turacciolo alla mia fantasia”. Per fortuna così è stato e dopo tanti anni di ritiro, in cui ha dipinto e suonato, si è potuto godere anche un acclamato ritorno. Mi confessò anche i complimenti che gli fecero più piacere nella sua esistenza, ricevuti da Louis Armstrong e Arturo Benedetti Michelangeli. Poi un giorno mi disse che voleva inserire nel libro una lettera che aveva scritto alla Musica, definendola: Madre mia. In quella lettera di un pianista aveva scritto il suo finale: ”Quando ritornerò nel tuo grembo così come sono venuto, te ne accorgerai perché sentirai la mia ultima nota, uguale e identica alla prima che mi insegnasti, ti ricordi? Era un La, un La naturale!”. Per tutto questo e altro ancora era un genio, per tutto questo e altro ancora ci manca. Vincenzo Mollica