Biografia Renato Carosone - Riepilogo BIO Breve di Renato Carosone (all'anagrafe Carusone) Renato Carosone è uno dei nomi più prestigiosi della canzone napoletana moderna, che con le sue canzoni ha consacrato una Napoli a livello Internazionale. Conseguito il diploma di pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Majella a soli diciassette anni è dapprima impegnato in una nota casa editrice musicale, poi viene ingaggiato come Direttore d'orchestra di una compagnia di varietà per una tournée in Africa. Una serie di spiacevoli imprevisti porta improvvisamente allo scioglimento della compagnia e il giovane musicista perde il lavoro ma lo ritrova subito come pianista presso alcuni locali notturni di Addis Abeba. Riscuote un tale grande successo che gli procura nuove e sempre più importanti scritture sia come pianista che come Direttore d'orchestra. Alla fine della guerra Renato Carosone ritorna in Italia e a Napoli dà vita al suo primo complesso, un trio formato col batterista Gegè Di Giacomo e il chitarrista olandese Peter Van Wood. Il trio diviene poi un quartetto e infine un sestetto, a mano a mano che le possibilità espressive e l'estro creativo del geniale musicista si manifestano in forme sempre più spettacolari. Carosone dà notevole impulso alla svolta nella canzone napoletana, costruisce un proprio repertorio di canzoni brillanti per smalto musicale e note di costume, aiutato in questo dal felice incontro artistico con il paroliere arguto ed estroso come Nicola Salerno (Nisa). Carosone si diploma in pianoforte al conservatorio di San Pietro a Majella all’età di diciassette anni, comincia la sua attività alla fine degli anni Trenta a Massaua e ad Addis Abeba. Rientra in Italia dopo la guerra, fonda con Gegè Di Giacomo e Peter Van Wood il suo famoso Trio il 28 Ottobre del 1949, debuttando allo Schaker Club di Napoli, a Capri e a Roma, all’Open Gate. Il trio riscuote subito e ovunque un caloroso successo e diviene presto un quartetto. Il 4 Giugno del 1955 inaugura, a Focette in Versilia, La Bussola di Sergio Bernardini. Dal 1956 il complesso di Carosone subisce una ulteriore trasformazione: cresce e diventa un Sestetto. Ma quale è il segreto di tanto successo? La grande intuizione che lo porta ad innestare i codici musicali americani nella tradizione canora partenopea. Poi la capacità di presentare canzoni in vena spettacolare, che iniziano sempre con il Canta Napoli intonato da Gegè di Giacomo, canzoni che si caratterizzano con interruzioni e nelle quali vengono inseriti dialoghi buffi, con trovate che scatenano ilarità (le curiose percussioni di Gegè, l’uso di feticci che danno subito l’ambientazione: il turbante per Caravan Petrol, la penna da indiano per ‘O Pellirossa) e con il pubblico che viene coinvolto nello spettacolo come se partecipasse ad una festa tipicamente napoletana. Fuori dai canoni Maruzzella, delicata, appassionata e un po’ struggente, dedicata a sua moglie e composta nel 1955 assieme a Bonagura, titolo che diviene presto anche un film di successo. Tu vuò fa’ l’americano (scritta nel 1957 in coppia con Nisa) ‘O Sarracino, Torero, Pigliate ‘na pastiglia, Nerone Rock, ‘A signora cha cha cha e tante altre ancora scritte in coppia con Nisa, cioè Nicola Salerno, tutte arrangiate nel medesimo stile. Poi, al culmine del successo, il clamoroso ritiro dalle scene, annunciato il 7 settembre del 1959 nel corso della trasmissione televisiva “Serata di gala” presentata da Emma Danieli. Un gesto più unico che raro nella storia della nostra canzone che Carosone spiega semplicemente così: “Ritengo che il mio genere sia ormai superato”, e non voglio veder morire giorno dopo giorno, quel successo ottenuto in anni di sacrifici e di speranze. L’ho sempre pensato, l’ho sempre detto che un bel giorno mi sarei ritirato a vita privata, ed oggi l’ho fatto. Non è la fine è l’inizio di una nuova vita. Sandrino Aquilani 335.325062 www.sandrinoaquilani.it Dicono di Renato: commenti necessari Renato Carosone Jazz e Classica per il mito scanzonato Ranato Carosone è da sempre un musicista particolare, un sorridente conversatore musicale che con eleganza e limpida tecnica compositiva ha sottratto alla canzone napoletana gli elementi ripetitivi e melodrammatici e ha dato una sferzata di vitalità alla nostra musica leggera. Tutto questo mantenendo intatto lo splendore della tradizione napoletana e con il rigore dello studioso di musica classica e del migliore jazz. Carosone ha eliminato il sovrappiù e le “note false” con il gioco ironico, verbale e ritmico, che tutti conoscono. Lucio Villari Come eravamo. Con la sua faccia di oriundo avrebbe potuto vestire la casacca della Nazionale di Vittorio Pozzo; avresti potuto incontrarlo in un caffè di Buenos Aires che ti serviva il mate o in un tabarin di Montevideo che suonava canzoni napoletane: “Non sparate sul pianista”: so potrebbe leggere in un night club della Costa Azzurra, dove lui, con la faccia questa volta di Louis Jouvet, azzecca una jam session con negri e fuorusciti partenopei, negli anni Trenta del Fronte Popolare. Tra Margellina e Brooklin, Posillipo e Montevideo, Via Toledo e Rio de la Plata, questo Maestro dal viso di oriundo, ci fa capire che siamo tutti figli di emigranti. Miseria e nobiltà del jazz napoletano. Siro Ferrone Renato Carosone ovvero dell’Arte sorridente Non tutti i cantanti napoletani hanno i piedi incatenati al Vesuvio. Non tutti hanno il cuore pieno di mandolini, spaghetti, pizza, ‘o sole mio e bastimenti che partono pe’ tterre assai luntane. C’è chi con sublime ironia ha disfatto e rifatto migliaia di volte la maschera a Pulcinella, c’è chi, con la grazia ineffabile che hanno solo i bambini, si fa beffe della Tradizione, insieme parodiando “in tempo reale” generi musicali e atteggiamenti à la page. 146 C’è da stupirsi, se non da scandalizzarsi, che ancora non si sia ufficialmente predisposto l’ingresso del Sommo Renato nella Sancta Sanctorum della musica leggera italiana degli anni ‘50 e ‘60 e di tutti i tempi, accanto a Modugno, Buscaglione, ecc.. E’ un po’ la stessa indifferenza spocchiosa che a suo tempo, prima che Pasolini ne sbattesse in faccia al mondo la Bravura, emarginava Totò. Carosone è autore geniale di musichette al limite della parodia, ricercatore di suoni inediti e raffinato arrangiatore (per trovarne uno simile bisognerà aspettare la metà degli anni ‘60, gli arrangiamenti di Ennio Morricone per Edoardo Vianello e Mina). Esecutore ammiccante, cabarettista nato, è un pianista formidabile, dalla tecnica mirabolante. Purtroppo ci è impossibile qui, per evidenti motivi di spazio, compiere un’analisi completa degli incredibile testi (dovuti in gran parte alla penna di Nisa) dalle canzoni di Carosone. Solo un assaggio di pugno del Maestro stesso: ‘O Russo vede ch’a Rossa se fa rossa-rossa-rossa ‘A Rossa vede ch’o Russo se fa russo-russo-russo E appress’a iss’ perd’a cap’essa e ‘a Rossa co’na mossa melenziosa l’arrepassa uè-uè (Da “‘O Russo e ‘a Rossa”) tanto per dimostrare che non sempre la canzone leggera e divertente deve essere per forza cretina e volgare nel contenuto e sciatta nella forma. Potremmo, con poca originalità, tirar fuori la solita disquisizione sul “demenziale”; noi, a costo di scandalizzare i più, useremo un aggettivo meno consumato: dedaista. Peter Pancarrè Carosone non solo revival Pianista di eccezione, autore e arrangiatore geniale, Renato Carosone ha dato “un rilancio internazionale non solo alla canzone napoletana, ma addirittura alla canzone italiana”. Vittorio Paliotti Allegro riformista della canzone italiana..; una specie di rivoluzionario. Con lui... comincia un modo divertente di fare musica a Napoli. Ancora oggi qualcuno ne sente l’eco nell’ultimo sound di Daniele e Toni Esposito. Gargano e Cesarini Carosone è tra i pochi che sa unire al gusto per l’humor e l’auto ironia, la capacità di coinvolgere i pubblici più svariati per l’immediatezza della sua comunicazione artistica e che, anche quando ha l’apparenza dell’improvvisazione e del gioco, si sostanzia di approfondite e colte ricerche musicali. Il Rigattiere E’ dai tempi di Ranato Carosone che da Napoli partono le correnti musicale che rinnovano lo stantio verbo del Pop italiano e che Carosone “è il papà” del “napoletan power” Federico Vacalebre Aspettando Carosone Il nome di Renato Carosone è di quelli che evocano, ad almeno un paio di generazioni di italiani, ricordi lontani e ruggenti. Erano gli anni Cinquanta, l’Italia ricominciava a vivere e sognare dimenticando i fantasmi della guerra e le ansie della ricostruzione: il Paese riscopriva la sua naturale, positiva voglia di vivere e di divertirsi. Tra i musicisti che di quel periodo lieto e spensierato composero la colonna sonora, Renato Carosone, napoletanissimo interprete di tante canzoni di successo, è stato e rimane a tutt’oggi uno dei protagonisti di maggiore talento e inventiva. Titoli come “Tu vuò fà l’americano” che ispirò l’Albertone di “Un americano a Roma”, “Maruzzella”, “Lettera da Milano”, la leggendaria “Caravan Petrol” fino alla recente “Ch’aimma fa” sono ormai veri e propri classici della canzone italiana. L. S. Classe e simpatia al di là del tempo Nell’antico Teatro Romano di Benevento entusiasmo da stadio per Renato Carosone. Un concerto in due tempi, più un terzo, ormai divenuto abituale per fronteggiare le richieste provenienti dal pubblico. Oltre due ore di canzoni napoletane del tradizionale repertorio, ma anche di brani di musica classica eseguiti con l’abilità che lo ha reso famoso. Un successo che viene da lontano, ma non per questo è divenuto fatto esclusivo della generazione della terza età. I tanti giovani presenti hanno confermato non solo la validità di un repertorio, ma anche il consenso ad un artista che nonostante i suoi settanta anni, continua a tenere la scena con rara maestria riuscendo a dare al pubblico quello che gradisce. Enrico Marra Ecco Carosone. Non occorrono necessariamente gli “anta” per apprezzare Renato Carosone, anche se per i giovani di allora, la scoppiettante allegria dello chansonnier napoletano riannoda i fili della trama di un amarcord senza precedente: la Topolino e la Vespa, Totò e la malafemmina, Boniperti detto “Marisa” e Lorenzi detto “Veleno”, come ricordano gli agguerriti cronisti sportivi, e tante, tante altre suggestioni. Tutte appunto sull’onda della colonna sonora di casa Carosone. Un pentagramma disegnato sulle rive del Mediterraneo, dapprima la costa meridionale poi il sud di Napoli, e quello di Capri, di Ischia, i locali alla moda e poi ancora la costa bassa della Versilia dove nel 1955 il complesso di Renato Carosone dà il via al successo della Capannina. Una storia giocata tutta in un decennio dei locali alla moda di tutta Italia ed Europa, e anche oltre, fino a quel tempio della musica che continua ad essere la Carnegie Hall; siglata da un coraggioso e precoce ritiro dalle scene e da alcuni ritorni clamorosi. Momenti indimenticabili che appartengono ormai alla storia della canzone italiana e che il brillante e virtuoso pianista di nome Renato Carosone divideva con due inseparabili compagni di viaggio Gegè di Giacomo e Peter Van Wood. Un trio che crebbe piano piano diventando terzetto, poi quartetto, sestetto e 149 adesso è una grande orchestra. Capace di far sortire dal cappello a cilindro dello spettacolo, forse ancora al fatidico slogan “Canta Napoli” la fotografia di un’epoca. Martina Franca 1988 L’eterna giovinezza abita qui. Quando studiava al Conservatorio di San Pietro a Majella, a Napoli, la sera andava a suonare il pianoforte dallo Scudiero, un tizio che aveva messo su, in un magazzino nei pressi della Ferrovia, un teatrino dei pupi. Renato faceva la colonna sonora alle imprese di Rinaldo, di Orlando, dei paladini di Franci e delle saghe camorristiche, che s’ispiravano al mondo cavalleresco. A quegli ingenui spettacoli il pubblico partecipava con entusiasmo eccessivo e con sdegno esagerato nei riguardi dei protagonisti buoni e cattivi. Alla fine, alla resa dei conti, erano guai non soltanto per l’infame, perché gli spettatori esaltati tiravano sul palcoscenico tutto quello che avevano a portata di mano, compreso pesanti scarponi. “Sicchè”, ricorda, “io dovevo suonare il finale accovacciato sotto la tastiera, per non prendere qualche scarpata in faccia. Che tempi straordinari !”. Renato Carosone si ritirò dalle scene nel 1960. Lo annunciò nel corso di una serata, ma nessuno voleva crederci. Invece faceva sul serio: rifiutava l’uno dopo l’altro contratti da capogiro. “Si parlò persino di una mia presunta crisi mistica. Ma quale crisi mistica? La verità era molto più semplice. Quando incominciai a sentire i Beatles, mi accorsi che la musica cambiava, l’atmosfera cambiava. Che avrei dovuto fare: aggiornamenti? Farmi crescere i capelli? Andare in giro tutto stracciato? Perché correre appresso alle mode e rinunciare a essere se stessi? Meglio mettersi da parte prima che ti diano uno spintone gli altri”. E così Carosone non ha avuto declino. E’ stato rimpianto, ma non dimenticato, non consumato, non divorato. I concerti che ha fatto in giro per l’Italia questa estate, ne fanno fede. Antonio Cocchia Magici ricordi con Carosone. La gente si chiedeva: ma quanti anni ha? E chi gli dà tanta forza? Per concludere: comunque, avrà si o no una sessantina d’anni. Invece ne ha quasi settanta, li compirà nel prossimo gennaio. Con questa forza d’urto s’é presentato Renato Carosone nei due recital ro,ani al Tetro Olimpico. Una forza d’urto che ha del sensazionale se si pensa ai virtuosismi delle sue dita impazzite sulla tastiera del pianoforte, ai movimenti di un’ugola che pare quella d’un ventenne dal senso ritmico innato e nemmeno leggermente scalfito dal tempo, al suo estro tutto partenopeo d’inventare in scena, limare, rassodare, adornare le sue vecchie canzoni, e di renderle incredibilmente fresche e briose. Magia di ricordi, o ricordi di magia, se preferite. Renato Carosone é stato lo specchio di un’epoca frizzante, spensierata e umile, dolce e chiassosa insieme. Un’epoca che egli, sapientemente nelle due serate romane, ha saputo riproporci con umori incredibilmente immutati: trent’anni in più sul nostro gobbone, insomma, quasi dimenticati d’incanto, in estasi dolcemente invereconda ad accompagnare il vecchio menestrello napoletano nei suoi ritmi simpaticamente miscelati e dosati. Un tuffo nel passato con tanta nostalgia. Ma una nostalgia che non pesava. Sandro Frosoni Quel simpatico guaglione che fa ancora l’americano Ha inventato lo swing napoletano, l’ironia applicata alla musica, la satira sorridente scandita a ritmo di jazz. Con il suo quintetto (celebre il batterista Gegé di Giacomo) ha segnato profondamente le estati “ruggenti” della Versilia e ha venduto milioni di dischi. Umberto Guidi Da “Caravan Petrol” a Gershwin Renzo Arbore lo ha sempre indicato fra i maestri del suo umorismo musicalgoliardico. E persino nell’area del cosiddetto “Rock demenziale”, figlio legittimo del 151 ‘77 di indiani metropolitani e risate liberatorie, c’é chi lo ritiene un indiscutibile padre sprirituale. Di spirito, in effetti, Renato Carosone ne ha sparso parecchio sulle sue canzoni. Brani acuti come una vignetta satirica, pungenti come una battuta a bersaglio, immediati quanto una caricatura grottesca. Angelo Porru Carosone, “miliardario” di emozioni. Esce l’album con i brani inediti. Eccolo, finalmente, l’album di inediti carosoniani. Sandrino Aquilani, industriale, produttore discografico di Carosone negli anni ottanta e oggi sindaco di Vetralla (Viterbo), ha svuotato solo in parte gli archivi della Lettera “A” raccogliendo su cd un pugno di chicche. Si comincia con la spensierata “Salsa del pensamiento”, rilettura di quella “Samba del pensamento”, uscita nel 1951 su 78 giri Pathé: “La voce é stata registrata nel 1985, mentre l’arrangiamento é postumo, come dimostra il gusto moderno, un po’ alla Manu Chao”, spiega Aquilani che a quest’operazione lavora da anni. Mai uscita su vinile e più vicina alla session originale, nonostante l’aggiunta di una ritmica reggae, é invece “San Gennaro”, preghiera al protettore della sua città di tornare a Napoli per risolvere i mali endemici. Delicatissima la versione di “Maruzzella”. “‘O miliardario”, ad esempio, é una poesia musicata per l’occasione da Giorgio Onorato Aquilani, figlio del sindaco-produttore, una sorta di ponte poetico tra “Gracias a la vida”, le laude francescane e “‘A livella”. La più profonda adesione alla tradizione napoletana arriva da uno dei momenti più emozionante del disco, “Lacco Ameno”. Ispirata a un’ Ischia che non c’é più, “Lacco Ameno” é una canzone d’amore dolente, carnale, di poche ma efficaci parole, canzone di mare e arena, di “silenzio che non rifiata”. Potenzialmente un classico moderno, dal fascino tenebroso e incompiuto. A completare il disco c’é una seconda versione di “Improvvisamente” già uscita su “Carosone ‘82”, l’ennesima cavalcata melodica di “Pianofortissimo” e un madley alla tasiera di Aquilani junior che unisce “’O sarracino”, “Pigliate ‘na pastiglia” e “Tu vuò fa’ l’americano”, prima di dedicare al maestro una sua composizione, “To Autumn”. Federico Vacalebre